Il 26 Agosto 2006 Elena approda in Italia. La figlia, con lei. Non come clandestina, ma come cittadina europea. Tante le speranze. Ed altrettante responsabilità: un mutuo da pagare, un marito invalido di cui occuparsi, le medicine da comperare e 120 euro di pensione di invalidità al mese come aiuto. Timida e riservata. “A Napoli non è stato difficile trovare lavoro. Ho fatto la badante per tre anni, ma sempre in nero e nessuno mi ha mai messo in regola. Mi dicevano di aspettare ché prima o poi mi avrebbero fatto un regolare contratto, ma questo non è mai accaduto”. Stufa di continue promesse mancate, Elena sale sul primo treno per Padova, fidandosi di un’agenzia di collocamento romena che le offriva un posto come badante. ”Il tuo problema sono i denti. Conciata così nessuno ti prenderà a lavorare” la risposta che le viene data al suo arrivo.
Eppure per fare la badante dovrebbero esserci requisiti ben più importanti di una dentatura sfavillante modello pubblicità del dentifricio AZ.
Tanto più che Elena è una donna con esperienza, forte, capace, volenterosa, sensibile e soprattutto … con un gran bel sorriso!
Inizia così la loro vita di strada.
Passano la giornata alla disperata ricerca di un posto di lavoro, “perché un uomo non è un uomo se non fa nulla tutto il giorno, se non si impegna in qualcosa di utile. La gente mi guardava. Ma mi guardava in modo strano. O forse ero io a sentirmi strana, a sentir pesare su di me tutti quegli sguardi che mi mettevano in soggezione, che sembravano quasi mettermi a nudo”.
“Se avevo paura? Sì, sempre. Non tanto per me, quanto per mia figlia, non mi piaceva come la guardavano alle Cucine Popolari, non mi piaceva che la infastidissero e mi sentivo responsabile di averla trascinata in questo inferno”.
Un mese a dormire stese su quella panchina, spesso il freddo o quella pioggerella che non si asciuga mai, per poi approdare al Torresino. Nella sua semplicità ed umiltà, Elena ci racconta che, a parte qualche discussione con le sua compagne di stanza, l’Asilo Notturno non è poi così male. “Servirebbe solo un po’ più di disciplina”. E la disciplina è un concetto che le è molto caro. “Così funziona il mondo, con la disciplina, con l’insegnamento delle regole e con l’impegno nel farle rispettare”. Tra le righe leggiamo chiaramente il passato da cittadina di regime, dove tutto ha un ordine e guai a farlo crollare! Ma ci piace questa sua caratteristica, forse perché riesce a plasmarla con una dolcezza disarmante. C’è un attimo di silenzio. Anzi, ce sono molti. Ma è un silenzio che non la imbarazza. “E’ la vita di strada che ti rende così”.
Sono le 23, le luci in struttura si spengono. Ancora per qualche minuto il mio pensiero va ad Elena, al suo sguardo fiero, coraggioso, eppure attraversato da una grande malinconia e tristezza. Non ci sono certezze per lei, né progetti, né idee. I dubbi hanno preso il sopravvento. Ma c’è una cosa che ancora Elena non ha perso: la sua dignità, di essere umano, di persona, ma soprattutto di donna.